VARIANTI D’AUTORE NELLA STORIA

Per primo Giorgio Pasquali, in Storia della tradizione e critica del testo (1934), base di una revisione della filologia lachmanniana, fra i vari punti correttivi o integrativi da apportare alla critica del testo aveva indicato la possibilità della presenza in testi antichi di varianti d’autore.

La stessa situazione si presenta alle origini della nostra letteratura, dove spesso la tradizione porta varianti che fanno sospettare il rimaneggiamento d’autore: ad esempio per le rime della Vita Nuova, che paiono avere subito nel momento dell’inclusione nell’opera (un prosimetro, ossia un testo misto di prosa e rima) un rimaneggiamento atto a creare un organismo coerente. Ma se per queste, come per varianti di tanti altri testi, le nostre non possono spesso essere che ipotesi, diversa è la situazione quando ci si trovi di fronte all’autografo di un testo, come in Petrarca, di cui disponiamo della prima redazione del Canzoniere, il Codice Vat. Lat. 3196 detto “Codice degli Abbozzi”,  o in Boccaccio, il cui metodo di lavoro sul Decameron è documentato, tra gli altri, dal Codice Hamilton 90, conservato presso la Staatsbibliotek di Berlino.

A partire dall’invenzione della stampa cambia lo statuto delle varianti d’autore, che diventano più frequenti e maggiormente distinguibili da quelle di tradizione. Nel Rinascimento vi sono casi celebri di varianti d’autore, a partire da Ariosto (i frammenti autografi dell’Orlando Furioso da un lato e dall’altro le tre edizioni a stampa dell’opera), Machiavelli, Guicciardini, Della Casa, Bembo, Castiglione, fino a Tasso, le cui Rime costituiscono, ancora oggi, uno dei casi filologici più interessanti. Anche i grandi testi letterari del Settecento, di Parini, Alfieri e Monti sono testimoniati da manoscritti d’autore, che permettono di ricostruire le fasi di sviluppo delle loro opere e i processi di correzione del testo. È però l’Ottocento il secolo a partire dal quale abbondano le testimonianze manoscritte, anche grazie a una maggiore disponibilità di carta. Le opere di Foscolo, Leopardi, Manzoni, Nievo, Verga e Carducci sono testimoniate da una ricca documentazione manoscritta, che spesso parte dalla prima idea del testo e giunge fino alle soglie della stampa. Egualmente, è possibile ripercorrere la storia interna delle opere di Pascoli, D’Annunzio e dei grandi poeti e prosatori del Novecento: Montale, Ungaretti, Saba, Sereni, Gadda.

A partire dalla seconda metà del Novecento, alla documentazione manoscritta si aggiunge quella dattiloscritta (macchina da scrivere meccanica, poi elettrica) e alle copia di copista si sostituisce la fotocopia: entrano per la prima volta, nel processo di produzione testuale, mezzi meccanici che comportano fenomenologie di trasmissione e di correzione diverse che finiscono per influenzare lo stesso processo elaborativo degli autori. Non è che l’anticipazione della grande rivoluzione a cui si assiste nell’ultimo decennio del Novecento, dominato da un mutamento epocale nella produzione dei testi letterari, che vede il progressivo (anche se non definitivo) abbandono della scrittura manoscritta, sostituita da quella al computer. Una forma di scrittura completamente differente, sia nella fase della ideazione che in quella della scrittura e revisione del testo.