La filologia d’autore sviluppa quindi un modo nuovo di considerare i testi, che è il risultato di un diverso approccio alla letteratura, anche da un punto di vista filosofico. Per la filologia d’autore e la critica delle varianti, infatti, il «valore», la poeticità del testo non è un «dato», un «valore» stabilito, ma, secondo la definizione di Gianfranco Contini, una «approssimazione al valore», che comprende ed è il risultato di tutti i testi che l’hanno preceduto, di tutti gli avantesti.
Nella filologia d’autore applicata in Italia con «avantesto» si intende solo l’insieme dei dati materiali relativi a tutto ciò che ha preceduto il testo. In questa accezione è possibile distinguere: ·
- i materiali che non hanno relazione diretta con il testo (come gli elenchi di personaggi, i progetti letterari, gli elenchi lessicali ecc.); ·
- quelli che hanno una relazione immediata con il testo (come le prime stesure e i successivi rifacimenti che precedono il testo vero e proprio).
Da questa differente considerazione discendono i due tipi diversi di edizione critica: quella francese (più nota come edition génétique) e quella di tipo tedesco-italiano (generalmente definita «edizione critica» o edizione «critico genetica»). ·
L’edizione genetica francese si caratterizza per presentare l’edizione integrale di tutto l’avantesto, dai primi appunti alle correzioni sulle bozze di stampa, senza distinguere tra primo e secondo tipo di avantesto, e senza subordinazione con la parte dell’avantesto direttamente legata al testo stesso. L’edition génétique è quindi una rappresentazione della storia del testo attraverso singoli fotogrammi che di quel percorso fissano ciascuno un provvisorio statuto, senza distinzione tra testo, materiali preparatori e apparato. ·
L’edizione tedesco-italiana tende invece a dare maggiore importanza al processo correttorio di cui la lezione a testo costituisce il prodotto finale e considera quindi solo la parte dell’avantesto che ha una relazione diretta con tale “prodotto”. L’edizione critica (o critico-genetica) focalizza quindi l’attenzione sul percorso genetico o evolutivo del testo, ossia sul movimento variantistico che porta dalle lezioni registrate in apparato a quelle poste a testo (o viceversa). La caratteristica peculiare di un’edizione critica di filologia d’autore di tipo italiano, perciò, è che mette subito il lettore davanti a un doppio organismo testuale, che occupa anche due zone tipografiche diverse: il testo e l’apparato, dove il secondo è sempre subordinato al primo, al piede della pagina, alla fine del testo, o in un volume a parte. I materiali che non hanno una diretta relazione col testo non vengono compresi nell’edizione, ma pubblicati solitamente in una posizione subordinata (in Appendice, o, nel caso di materiali particolarmente numerosi, in un volume a parte).
In particolare, di fronte all’edizione di un testo in fieri, il lavoro del filologo dovrebbe essere volto non tanto a ripercorrere alla moviola l’atto della scrittura, che sarebbe un’ingenua e forse inutile presunzione (nemmeno l’autore sa, perché non può ricordarli dettagliatamente, tutti i passaggi che si sono susseguiti nella sua mente, dalla prima idea del testo alla redazione finale), quanto a tradurre l’oscurità del manoscritto in chiari segni, rappresentando, quando possibile, la cronologia compositiva che è riuscito a ricostruire, e che – fatto più importante – costituisce una sua ipotesi su ciò che accade «prima del testo» e che porta il testo ad essere quello che è. In altre parole, attraverso l’analisi dei manoscritti non si dovrebbero divinare i percorsi mentali dell’autore, ma elaborare «criteri di formalizzazione dell’apparato e […] sistemi capaci di rendere al meglio (in tutte le sue fasi interne, opportunamente distinte e correlate) il processo elaborativo dello scrittore sia sui manoscritti sia sulle stampe» (Isella 2009a, p. 16). Non esiste perciò, come si è già detto, un apparato ideale, come non esiste l’edizione critica ideale, e ciò che può andare bene per un autore non funziona per un altro. Verga non corregge come Gadda che, paradossalmente corregge molto più come Bembo, nonostante i due autori siano inassimilabili sotto tutti i punti di vista (ma vicini per sistema correttorio).
Quando gli studi di filologia d’autore saranno più numerosi e la disciplina più codificata, si potrà forse scrivere una storia della letteratura italiana sulla base dei vari sistemi correttori degli autori e dei loro rapporti con i propri manoscritti. Ne scaturirebbero sicuramente degli accostamenti nuovi e interessanti, perché dal rapporto con il proprio testo è possibile ricavare indicazioni utili sulla poetica e persino sull’ideologia di uno scrittore.